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unioni civili

Se ne parlava da anni, il dibattito continua ancora adesso e infiamma più parti politiche in Italia e in Europa, ma intanto, da qualche mese, le unioni civili sono diventate realtà nel nostro paese. Adesso, quindi, le persone dello stesso sesso che lo desiderano, possono unirsi civilmente davanti a un ufficiale e avere diritti e dovere che, anche se in forma diversa, hanno anche le coppie sposate.

Le unioni civili, infatti, anche se rappresentano un buon passo avanti per la tutela delle coppie omossessuali conviventi, non sono ad oggi equiparabili al matrimonio. Con il matrimonio questa istituzione ha diversi punti in comune, ma anche parecchie differenze strutturali e di concetto.

Ma a che cosa ci riferiamo quando parliamo di unioni civili? Come vengono celebrate e quali sono i diritti e i doveri che la coppia che decide di unirsi civilmente acquisisce con questa scelta? Vediamo allora di analizzare meglio questo nuovo istituto da poco introdotto nella nostra giurisdizione e votato dal Parlamento pochi mesi fa.

L’11 maggio 2016 il Parlamento ha votato una legge che nasce da un disegno di legge, che porta la firma della senatrice Monica Cirinnà, denominato “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”. La legge permette alle persone dello stesso sesso di unirsi civilmente e di beneficiare di alcuni diritti che prima spettavano alle sole persone eterosessuali unite in matrimonio.

Il dibattito intorno a questa legge, che è venuta alla luce dopo non poche polemiche e aspri scontri politici, tocca diversi argomenti, che vanno dalla difesa del matrimonio inteso nella sua accezione religiosa di due persone di sesso diverso che si uniscono alla possibilità di aprire la strada alle adozioni, eventualità non ancora contemplata, anche per le coppie omosessuali.

Ma come funzionano le unioni civili? E chi può usufruirne?

L’unione avviene in presenza di un ufficiale di stato e di due testimoni e solo le persone maggiorenni possono beneficiarne. L’unione verrà poi registrata nell’archivio preposto dello stato civile, insieme agli atti dell’unione, ai dati anagrafici e al regime patrimoniale. Le persone che si uniscono civilmente potranno scegliere un cognome comune.

Non possono beneficiare delle unioni civili le persone che sono già sposate o hanno già contratto un’altra unione civile, parenti e persone affette da infermità mentale, persone condannate per l’omicidio o per il tentato omicidio del coniuge precedente e le persone il cui consenso è stato forzato per qualsiasi motivo.

Unioni civili e matrimonio: affinità e differenze

La domanda che in molti ancora si pongono, benché siano ormai passati mesi dall’approvazione della legge, è: le unioni civili si possono equiparare al matrimonio? La risposta è no: le unioni civili, nonostante abbiano diritti e doveri in comune, non sono essere equiparate al matrimonio in toto.

Nell’istituto del matrimonio vi è l’obbligo di utilizzare il cognome dell’uomo come cognome comune ed è necessario un periodo di tempo che varia dai sei mesi a un anno per mettere fine all’unione. Nelle unioni civili è possibile scegliere il cognome da usare in comune, ma per lo scioglimento dell’unione civile sono sufficienti sei mesi. E ancora, il matrimonio può essere sciolto e annullato nel caso l’unione non venga consumata ed è possibile stampare delle pubblicazioni prima dell’unione.

Le distinzioni più grandi, però, riguardano l’obbligo di fedeltà e le adozioni del figlio del coniuge, la cosiddetta “stepchild adoption”. Nel testo originale entrambi i termini erano presenti, ma sono stati eliminati dopo il voto in Senato per consentire alla maggioranza del Parlamento di approvare la legge. Per quel che riguarda le adozioni, il tema è ancora molto dibattuto.

Il testo originale introduceva la possibilità di adottare il figlio biologico del partner, eventualità prevista invece per le coppie eterosessuali sposate, o conviventi ma sposate al momento della richiesta ufficiale, da almeno tre anni. Nel decreto legge si specifica, però, che in materia di adozioni “resta fermo quanto consentito e previsto dalle norme vigenti in materia di adozioni”. Questo significa che ai giudici rimane il diritto di pronunciarsi in merito alle adozioni per le coppie omosessuali.

Per quel che riguarda, invece, l’obbligo di fedeltà, questo principio non era previsto nemmeno nel testo originale, al contrario di quello che invece avviene nel matrimonio fra persone eterosessuali, per cui la fedeltà è vincolo e obbligo. È specificato, però, che le parti che contraggono un’unione civile hanno l’obbligo di assistenza morale e materiale.

Il divorzio nelle unioni civili

Così come per il matrimonio, anche per le unioni civili è previsto il divorzio in tempi brevi, proprio come per una coppia eterosessuale sposata che decide di separarsi. Per farlo servono soltanto tre mesi e basta esprimere questa volontà davanti a un ufficiale di stato e l’unione sarà ufficialmente sciolta trascorsi tre mesi dalla dichiarazione.

L’eredità e la reversibilità nelle unioni civili

In caso di successione, eredità e reversibilità vige il codice civile che regola il regime patrimoniale della famiglia e della comunione dei beni, regime patrimoniale previsto come nel matrimonio. Diritti e norme sulla reversibilità si gestiscono allo stesso modo.

In caso di cambio di sesso

L’atto ufficiale con cui si stabilisce l’attribuzione di sesso comporta lo scioglimento dell’unione, così come l’unione è sciolta nel caso in cui vi sia un cambiamento di genere all’interno di una coppia sposata: in questo caso il matrimonio è sciolto e convertito in unione civile.

Unioni civili e maternità surrogata

La legge sulle unioni civili è stata a lungo discussa, ostacolata e criticata perché, secondo i suoi detrattori, una volta approvata avrebbe potuto spianare la strada alla maternità surrogata in Italia, anche conosciuta come “utero in affitto”. È vero? La risposta è no. La maternità surrogata rimane una pratica vietata in Italia ma consentita in alcuni paesi esteri.

La legge sulle unioni civili anche per gli eterosessuali

La seconda parte della legge sulle unioni civili si concentra sulla convivenza tra due persone, siano esse omosessuali o eterosessuali, che non sono sposate. Tutti potranno contrarre un contratto di convivenza davanti a un notaio, che prevede assistenza materiale e morale. Basta essere maggiorenni, non essere vincolati da legami di parentela, adozione, matrimonio e unione civile.

Questo contratto serve a regolamentare in forma scritta la vita in comune, i propri rapporti patrimoniali e le modalità che disciplinano la vita della coppia di fatto. Il regime patrimoniale potrà essere modificato in qualsiasi momento e questo tipo di contratto non è assoggettato a termini. Le coppie di fatto avranno gli stessi diritti di una coppia sposata in caso di ricovero, malattia, nel caso previsto dall’ordinamento penitenziario, in caso di decesso e di donazione degli organi.

Dal contratto di convivenza è possibile separarsi e la separazione determina il decadere della comunione dei beni, nel caso di separazione unilaterale o per accordo delle parti. È di competenza del notaio predisporre tutti gli atti che regolano i beni immobiliari e, nel caso in cui la casa familiare appartenga alla persona che decide di recedere dal contratto, il recesso deve avere un termine non inferiore ai novanta giorni, periodo entro il quale l’altro convivente deve lasciare l’abitazione.

In caso di separazione tra conviventi di fatto, e a seconda dei casi, il giudice può stabilire che uno dei due conviventi debba versare all’altro gli alimenti, dovuti nel caso in cui l’altro convivente versi in una situazione tale da non poter essere in grado di provvedere a sé stesso. Gli alimenti vengono calcolati in base al periodo e alla durata della convivenza e quest’obbligo viene considerato con precedenza verso i fratelli e le sorelle.

In caso di decesso del coniuge

Cosa succede, invece, in caso di decesso? Come si disciplina il diritto sull’abitazione? In caso di morte del proprietario della casa in cui la coppia vive, il coniuge ha diritto di abitare la dimora per due anni o per un periodo pari agli anni della convivenza, ma non oltre un periodo pari a cinque anni. In caso il cui il coniuge superstite abbia a carica un figlio minore è suo diritto rimanere nell’abitazione per un periodo non inferiore a tre anni di tempo. Il coniuge superstite non ha più il diritto di abitare nella casa di famiglia nel caso in cui contragga un’altra unione civile, un matrimonio o intraprenda una convivenza di fatto.

Questo è quello che avviene per quanto riguarda un’abitazione di proprietà. E per quel che riguarda gli alloggi popolari? In questo caso, se il nucleo familiare è considerato un fattore di preferenza per quanto riguarda le graduatorie, anche i conviventi di fatto possono usufruire di questa condizione.

I diritti dei conviventi e l’impresa di famiglia

In caso di lavoro indipendente, e nel caso in cui il coniuge lavori presso l’impresa dell’altro, gli utili e tutto quello che riguarda gli incrementi dell’azienda vanno ripartiti in modo equo, a meno che il coniuge lavori presso il convivente in qualità di dipendente e svolga quindi un lavoro di tipo subordinato.

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Milena Talento11 Ottobre 2015

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