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Molti degli Stati d’Europa fanno parte dell’Unione Europea, un’istituzione governativa che comprende alcuni Stati che, per farne parte, hanno rinunciato a parte della propria sovranità nazionale per eleggere i propri rappresentanti al Parlamento Europeo. Fino a qualche mese fa, anche il Regno Unito faceva parte dell’Unione Europea, fino a quando gli elettori britannici, mediante un referendum, hanno preso una decisione che sarà ricordata per sempre con il nome di Brexit, un neologismo coniato per l’occasione che rappresenta la volontà dei cittadini britannici di non fare più parte dell’Unione Europea.

Il 23 giugno 2016 è stata una data molto importante per il Regno Unito, il giorno in cui attraverso un referendum i cittadini britannici hanno deciso di uscire dall’Unione Europea. Le nazioni di cui il Regno Unito si compone si sono mostrate da subito spaccate nelle loro opinioni; Inghilterra e Galles hanno votato in maggioranza per uscire dall’Unione Europea, mentre Scozia e Irlanda del Nord hanno votato per rimanere. Il referendum ha evidenziato una grande disparità, non solo tra i diversi Stati che compongono il Regno Unito, ma anche una disparità generazionale; a favore del “remain” si sono schierati soprattutto i giovani, preoccupati per il loro futuro e per la possibilità di non poter più fare parte dell’Unione Europea. I più anziani, invece, hanno preferito una brusca rottura.

Brexit, dunque, così ha deciso il popolo britannico con un referendum. La notizia è stata accolta con felicità dagli euroscettici, ossia da coloro che non sono mai stati convinto del progetto di comunità europea, al quale fino a poco tempo fa anche il Regno Unito apparteneva. Il sentimento europeista, o anti-europeista, anima da sempre tutti i dibattiti politici nazionali perché all’interno dell’Unione Europea si decide in ottica comunitaria e non più singola.

Il Regno Unito, infatti, è sempre stato un paese membro dell’Unione Europea anche se, come da accordi, il paese ha deciso di aderire all’Unione mantenendo la propria indipendenza monetaria. Questo è il motivo per cui il Regno Unito è l’unico paese ad aver mantenuto la sterlina, mentre il resto degli Stati dell’Unione Europea hanno aderito all’euro.

Il dopo Brexit: cosa cambierà?

Dopo il voto nel Regno Unito la prima inevitabile conseguenza è stata il crollo della sterlina, seguita dalle dimissioni dell’allora premier David Cameron, diventato simbolo di questo referendum. Il primo ministro è stato sostituito da Theresa May, a cui spetterà il difficile compito di accompagnare la nazione verso questa difficile fase di transizione che potrebbe concludersi nella primavera del 2017, anche se molto dipenderà dall’andamento dei negoziati attualmente in corso.

Le prime conseguenze di questo avvenimento, oltre alle ripercussioni finanziare, sono state politiche. Oltre alle dimissioni del primo ministro, la Gran Bretagna dovrà fare i conti con la volontà della Scozia, che ha votato in grande maggioranza per restare nell’Unione Europea.

Da quel momento si è temuto il peggio per i mercati, per le borse e per gli accordi finanziari che legano la Gran Bretagna all’Unione Europea e ancora oggi questi sono temi molto scottanti per questa difficile fase di transizione, ma quello che si chiedono i cittadini italiani residenti all’estero e chi si reca spesso in Gran Bretagna per motivi di lavoro o familiari è: che cosa succede adesso?

Ci si chiede, insomma, che cosa cambierà a conti fatti con l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. L’argomento è decisamente spinoso e molto tecnico e questo rende molto più difficile, soprattutto per chi non è esperto di politica e di dinamiche internazionali, comprendere esattamente che cosa è successo, cosa sta accadendo e quello che succederà in futuro.

E a allora iniziamo a rispondere a qualche domanda e a fare un po’ di chiarezza su questo argomento. Sappiamo sicuramente che il processo di transizione sarà piuttosto lungo e richiederà almeno due anni, un periodo di tempo che servirà a Bruxelles e alla Gran Bretagna di lavorare ai negoziati e di trasformare in realtà quella che è stata la decisione della maggioranza dell’elettorato.

Quando la Gran Bretagna avrà sancito ufficialmente la sua uscita dall’Unione Europea, saranno effettive alcune regole che d’ora in avanti chi viaggia per il Regno Unito o chi vive lì dopo essere emigrato dovrà rispettare, anche se fino a quel momento nulla può considerarsi definitivo.

Per gli stranieri che lavorano in Gran Bretagna si apre un nuovo scenario; chi lavora nel paese in modo stabile, stando così le cose, potrebbe continuare ad avere lo stesso trattamento previdenziale e fiscale, mentre per tutte le altre categorie di persone che lavorano in Gran Bretagna la faccenda è più complessa.

Quando la separazione dall’Unione Europea sarà effettiva, per chi vuole fare anche solo una breve esperienza lavorativa nel Regno Unito le cose potrebbero complicarsi e la classica esperienza all’estero come cameriere o barista potrebbe non essere più così facile da realizzare. Con molta probabilità, per lavorare nel Regno Unito sarà necessario munirsi di un visto, proprio come oggi fanno tutti i cittadini extracomunitari.

Anche gli arrivi dall’Europa potrebbero diventare più complicati e questo significa che viaggiare potrebbe non essere così immediato così come lo è stato fino ad adesso. Tutti i cittadini europei, agli occhi del Regno Uniti, saranno considerati extracomunitari e questo significa che sarà necessaria una carta di sbarco e la compilazione di un modulo in cui i viaggiatori segnalano alle autorità dove intendono soggiornare, quanto si fermeranno nel paese e quali saranno le tappe del viaggio. Queste, del resto, sono le procedure che oggi si applicano ai turisti extra comunitari.

Chi vive in Gran Bretagna da almeno cinque anni potrebbe vedersi concessa la possibilità di restare nel paese in modo stabile e lo stesso dovrebbe avvenire al contrario. In questo modo i cittadini britannici che vivono negli altri paesi europei potranno preservare tutti i diritti acquisti, anche se si preannuncia una situazione non proprio idilliaca per quel che riguarda l’assistenza sanitaria, che sarà necessario pagare tramite un’assicurazione, e la disoccupazione.

La sanità è una questione molto spinosa, destinata a complicarsi ulteriormente dopo la Brexit. Fino a questo momento, tutti i cittadini britannici hanno avuto diritto a tutte le cure mediche grazie all’assicurazione medica europea, ma quando la separazione dell’Unione Europea verrà sancita ufficialmente i cittadini britannici che si trovano su suolo europeo e si trovino nella condizione di aver bisogno di cure mediche, riceveranno lo stesso trattamento riservato a tutti i cittadini extracomunitari.

Lo stesso avverrà per i cittadini europei che si trovano nel Regno Unito. Oggi l’accesso alla sanità, secondo gli accordi europei, è gratuito, ma quando i negoziati saranno conclusi e verrà sancito l’addio del Regno Unito all’Unione Europea i cittadini europei in Gran Bretagna dovranno pagare di tasca loro la sanità britannica, con tariffe esorbitanti che oggi negli ospedali per gli extracomunitari sono maggiori del 50% rispetto a quelle previste per i cittadini europei.

Non dovrebbe, invece, cambiare la possibilità per gli studenti di scegliere un paese del Regno Unito per l’Erasmus. Del resto, l’inglese è la lingua straniera per eccellenza e sarebbe sciocco privare gli studenti di un’opportunità così importante. Quello che cambierà, invece, sarà la modalità di pagamento delle tasse negli atenei scelti per studiare; per ora è ancora in vigore lo scambio equo che prevede che lo studente versi al paese straniero la stessa cifra che verrebbe destinata all’università del proprio paese, ma la Brexit potrebbe portare novità negative anche in questo senso, con tasse maggiorate e perdita di agevolazioni economiche.

I dazi doganali sono un’altra nota dolente della Brexit, ma su questo non possiamo ancora sbilanciarsi perché tutto dipende dagli accordi che verranno siglati durante i negoziati. Lo scenario peggiore, tuttavia, è quello che prevede l’applicazione dei dazi alle merci, scenario oggi vietato grazie ai trattati europei.

Un altro problema con cui sarà necessario fare i conti, riguarda le compagnie aeree low cost. Easyjet, per esempio, che è una società britannica, dovrà stipulare nuovi accordi per operare in tutta Europa, e anche Rayanair, società irlandese, potrebbe limitare i suoi investimenti verso i paesi del Regno Unito e ha già fatto sapere di voler intensificare le tappe verso la Spagna e l’Italia.

Purtroppo non è possibile sbilanciarsi oltre dal momento che non sono ancora noti quelli che potrebbero essere i risultati dei negoziati. Quello che sappiamo per certo è che qualcosa è destinato a cambiare e che una decisione del genere avrà certamente ripercussioni non solo sulla politica e sul mondo della finanza, ma anche sulla quotidianità dei cittadini, che siano italiani all’estero, cittadini britannici residenti in Europa o semplici viaggiatori.

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