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Pensione integrativa: quale scegliere?

La previdenza in Italia

La prima tutela pensionistica italiana risale al 1898 con l’istituzione della Cassa Nazionale di Previdenza per l’Invalidità e la Vecchiaia degli operai, con il compito di gestire forme facoltative di assicurazione; nello stesso anno fu introdotta l’assicurazione, in questo caso obbligatoria, contro gli infortuni sul lavoro.

Dopo la seconda guerra mondiale venne sancita l’obbligatorietà dell’assicurazione di invalidità e vecchiaia per tutti i lavoratori dipendenti da privati, eccetto gli impiegati con stipendi superiori alle 350 lire mensili.

Nel 1933 la Cassa Nazionale per la Previdenza Sociale cambia nome in Inps – Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale – e avvia una serie di modifiche rispetto all’ordinamento iniziale, in corrispondenza del passare del tempo e del mutare delle esigenze sociali.

Nel 1939 subentra così la pensione di reversibilità, nel 1965 la pensione sociale minima per tutti i lavoratori e la pensione obbligatoria per i lavoratori autonomi, nel 1969 la pensione sociale viene estesa a tutti i cittadini con almeno 65 anni e basso reddito e viene introdotta la ‘scala mobile’ per agganciare il valore della pensione al costo della vita.

Poi negli anni Novanta sono state introdotte diverse novità riguardanti il contenimento della spesa pubblica e una di queste è stata l’integrazione della pensione pubblica tradizionale con altre forme previdenziali. Nasce così la pensione integrativa individuale.

La pensione integrativa: quale scegliere?

Ad inizio 2007 è entrata in vigore la riforma della previdenza complementare, riforma importante soprattutto per le generazioni più giovani, che hanno un’aspettativa pensionistica ben diversa da quella dei loro padri. Costruirsi una ‘seconda’ pensione appare per i più giovani, come per coloro che hanno iniziato a lavorare 15-20 anni fa, una necessità.

La previdenza complementare nel nostro paese ha origini lontane, ma circoscritte solo a poche categorie di lavoratori dipendenti, ed in particolare a quanti occupati nei settori del credito e delle assicurazioni.

Solo con la Riforma Amato (legge 431/92) venne previsto il conferimento di una delega al Governo per definire un quadro normativo in grado di estendere la previdenza complementare alla totalità dei lavoratori.

Tale quadro normativo aveva individuato nel Tfr la principale fonte di finanziamento della previdenza complementare, disponendo tuttavia che esso potesse venir destinato a tale funzione solo su base volontaria e in misura differente.

Fondi pensione e piani individuali pensionistici

Il decreto legislativo 124/93 ha inoltre impartito le principali disposizioni che hanno consentito la nascita dei Fondi pensione, sia quelli chiusi costituiti su base negoziale, sia quelli aperti. I fondi chiusi sono riservati a determinate categorie di lavoratori, ad esempio i soci lavoratori di cooperative di produzione e lavoro, e i lavoratori autonomi e i liberi professionisti di aree professionali simili e/o di una stessa regione.

I fondi aperti, al contrario, non sono destinati ad una particolare categoria ma sono appunto aperti a chiunque voglia partecipare, perché non dispone di un fondo di categoria chiuso, o perché vuole uscire dal proprio fondo negoziale di riferimento (anche se questo è possibile solo dopo cinque anni dall’adesione al fondo chiuso).

Una differenza essenziale consiste nel fatto che i fondi aperti possono essere promossi direttamente dagli intermediari finanziari abilitati come banche e compagnie di assicurazione, mentre i fondi chiusi sono invece istituiti sulla base di contratti nazionali promossi dai sindacati e dai datori di lavoro, dalle associazioni nazionali del movimento cooperativo o da associazioni di categoria.

Una seconda differenza è tra fondi a contribuzione definita e fondi a prestazione definita. Nel primo caso si fissano i contributi che devono essere versati al fondo pensione, ma non si stabilisce nulla riguardo alla prestazione che verrà erogata al momento di riscuotere la pensione; nel secondo caso invece si fissa un obiettivo finale e i contributi variano di volta in volta per raggiungere questo obiettivo.

La legge stabilisce che i lavoratori dipendenti e i soci lavoratori delle cooperative possano aderire unicamente ai fondi a contribuzione definita, mentre per i lavoratori autonomi e i liberi professionisti possano essere istituite entrambe le tipologie.

Dal momento che l’adesione al piano pensionistico complementare è stata tiepida e lenta, si è giunti alla legge 243/94, secondo la quale il Tfr deve essere devoluto alla previdenza complementare, salvo diversa scelta del lavoratore da compiere entro 6 mesi dalla data di inizio dell’attività lavorativa.

Il rapporto fra Tfr e lavoratore viene quindi a trovarsi ribaltato, nel senso che il lavoratore che voglia continuare ad accantonare il Tfr deve esplicitamente dichiararlo, altrimenti il Tfr confluisce automaticamente nella previdenza complementare, secondo determinate modalità previste dalla normativa.

Garanzie offerte dai rendimenti dei fondi complementari

Il Tfr è sicuro, rivalutato e garantito, al punto che in caso di fallimento dell’azienda viene corrisposto da un ‘Fondo di garanzia’ istituito presso l’Inps. I rendimenti dei fondi complementari non sono sostanzialmente garantiti.

Tra le norme vanno rammentate quelle finalizzate a prevenire eventuali conflitti d’interesse tra i soggetti istitutivi di Fondi aperti e di Pip e tali forme previdenziali, disponendo in particolare la separatezza patrimoniale, amministrativa e contabile, tra le risorse monetarie raccolte con finalità di previdenza complementare, dal resto delle risorse costituenti il patrimonio del soggetto costitutivo di un Fondo.

Il decreto legislativo prevede poi, con disposizione innovativa, la concentrazione delle attività di controllo e vigilanza in un’unica Authority di vigilanza, denominata Convip – Commissione di vigilanza sui fondi pensione. In particolare sono soggetti a tale Authority non solo i Fondi chiusi e i Fondi aperti, ma anche i Pip promossi da compagnie di assicurazione, sulle cui altre attività continua ad esercitare la vigilanza l’Isvap (Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo).

Si tratta di disposizioni mediante le quali il legislatore ha voluto porre un elemento di garanzia aggiuntivo a tutela dei risparmi dei lavoratori espressamente finalizzati alla previdenza complementare.

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