È guerra di dazi. Il primo contesto in cui questa incertezza si fa sentire è quello del mercato del forex, viste le oscillazioni delle valute globali che sono state interessate dal processo: nonostante la prima ondata di dazi, entrati in vigore il 6 luglio, fosse ampiamente prevista, il riflesso sulle quotazioni è stato comunque sensibile. Inoltre, gli investitori sembrano preoccupati soprattutto dai rischi di una escalation della situazione, paventata dalla Casa Bianca, che darebbe il via a un nuovo shock esogeno determinato dall’acuirsi della guerra commerciale.
Gli effetti sui mercati finanziari. Non bisogna dimenticare infatti che a novembre gli Stati Uniti sono chiamati alle urne per le elezioni di mid term, e quindi i prossimi mesi potrebbero essere decisivi per Trump, che intende ovviamente mantenere il suo elettorato sia attraverso azioni concrete che una retorica comunicativa ancora più aggressiva. In contesti del genere, per i mercati finanziari le variazioni sono quasi all’ordine del giorno, e chi vuole investire deve prestare attenzione anche alle “voci” o cercare una strategia più conservativa, come quelle attuate dai big trader internazionali e descritte su https://investingoal.com/, piattaforma di social trading con focus specifico sul forex.
Trump contro Xi Jinping. Ma cosa è successo tra Stati Uniti e Cina? In realtà, quello contro il Paese asiatico non è il primo dazio lanciato dal presidente Donald Trump, che nelle scorse settimane aveva anticipato un blocco similare alle importazioni provenienti da Canada e Messico, nonché dall’Unione europea, provocando come risposta l’introduzione di nuove imposte di pari valore sulle esportazioni americane in queste Aree. L’ex imprenditore americano ha poi concentrato la sua attenzione sulla Cina, dando il via a quella che è stata definita “la più grande guerra commerciale della storia“, partita appunto il 6 luglio scorso.
Un circolo vizioso. In quella data sono infatti scattate le nuove misure imposte dagli Stati Uniti sull’importazione di prodotti cinesi, e nella fattispecie una tassa del 25 per cento su 50 miliardi di dollari (42 miliardi di euro) di merci provenienti dal Paese asiatico. Di contro, la risposta del presidente Xi Jinping non si è fatta di certo attendere, con una tassazione per 50 miliardi di dollari di esportazioni statunitensi verso la Cina. E si tratta solo del primo atto.
Solo il primo round. Donald Trump ha infatti definito “ingiusta” questa reazione ritorsiva della Cina, e ha annunciato a sua volta una seconda fase di misure: vale a dire, una nuova un’imposta del 10 per cento su duecento miliardi di dollari (170 miliardi di euro) di prodotti cinesi (poi parzialmente rivista a 100 miliardi di dollari). L’effetto domino non si è arrestato, visto che Pechino ha promesso di reagire con provvedimenti “corrispondenti per quantità e qualità”.
Rischi di portata globale. Il ministro del commercio cinese ha dichiarato che le decisioni di Trump danneggeranno “la catena globale del valore, i mercati e la crescita economica globale”, ma a ben vedere è tutto questo circolo vizioso a essere preoccupante per il sistema commerciale internazionale: da un lato, c’è la possibilità di inasprire le relazioni globali, ma è soprattutto il lato economico a essere messo a rischio. Le esportazioni della Cina negli Stati Uniti rappresentano il 40 per cento del totale, mentre solo il 5 per cento delle esportazioni americane raggiunge la Cina, che dunque potrebbe pagare un costo enorme in questa battaglia che potrebbe trascinare in recessione l’economia globale, nello scenario più fosco.