Perché è tanto importante il legame tra mamma e figlia?. 1
Quali tipi di problemi psicologici possono nascere da un rapporto disturbato tra madre e figlia?. 1
Come si svolge l’intervento psicologico col minore? Quale è il ruolo dei genitori?. 1
Perché è tanto importante il legame tra mamma e figlia?
Per ogni figlia la relazione con la propria madre è estremamente importante: questo rapporto sarà centrale durante tutta la vita ed inevitabilmente andrà ad influenzare i futuri vissuti affettivi ed interpersonali. La figura della madre è infatti un “modello” a cui fare riferimento ed apprendere per quanto riguarda aspetti come l’amore, la sessualità, il lavoro, il comportamento nella società.
Quando e perché nasce la conflittualità tra madri e figlie?
I rapporti conflittuali madri – figlie nascono quando le mamme proiettano sulle loro figlie ideali e aspettative irrealistici: in questi casi la figlia può sentirsi rifiutata nella sua unicità e accettata solo quando ripete il copione che la madre inconsciamente le ha assegnato.
Non è un caso che i conflitti si esasperino molto spesso nella fase adolescenziale, quando le ragazze iniziano a distinguersi dalla propria madre per quanto riguarda idee, scelte di vita e a diventare donne con una loro distinta personalità.
Se la cosa più difficile per una madre è lasciar vivere la figlia come persona nel rispetto della sua unicità, per una figlia è altrettanto complesso comunicare a sua madre “io sono diversa da te”, soprattutto quando dall’altra parte viene criticata e giudicata.
Quali tipi di problemi psicologici possono nascere da un rapporto disturbato tra madre e figlia?
Sono molti i problemi psicologici che derivano da un rapporto disturbato fra madre e figlia: si pensi a tutte le problematiche legate al cibo (bulimia, anoressia), al sesso (gravidanze premature) o legate al mondo emotivo (ansia, depressione, perdita dell’autostima) e relazionale (dipendenza dal partner, incapacità di raggiungere autonomia e indipendenza).
Ulteriori problematiche nell’ambito della relazione madre-figlia possono scaturire dall’atteggiamento di tutte quelle madri che cercano di rivivere la loro giovinezza attraverso la vita delle loro figlie. Affette da quella che potremmo definire “sindrome della mamma-amica” queste donne cercano di essere più amiche che madri e, in nome di un rapporto “ aperto”, da amica ad amica, pretendono che la loro figlia non abbia alcun segreto, neppure sul sesso.
Ma anche le figlie hanno diritto alla loro privacy ed è assolutamente normale che preferiscano parlare di certi argomenti con le amiche piuttosto che con la madre.
Come si svolge l’intervento psicologico col minore? Quale è il ruolo dei genitori?
Quando il bambino è piccolo è meglio non intervenire direttamente sul minore per evitare di far sentire il bambino malato. Per quanto possibile lo psicologo cercherà di intervenire sul bambino consultando i genitori. In caso di necessità sarà lo psicologo che potrà richiedere ai genitori un incontro diretto con il bambino che presenta il problema.
Solitamente, dopo un primo incontro con i genitori, per la raccolta della storia di vita del minore e la definizione del problema, vengono proposti alcuni colloqui, generalmente a cadenza settimanale, finalizzati alla diagnosi e alla valutazione del problema. Successivamente si discute insieme ai genitori del percorso terapeutico più idoneo.
Dopo i 10-11 anni è bene condurre l’intervento con i genitori ed il minore insieme al fine di dare anche al ragazzo la possibilità di esprimere i suoi pensieri ed emozioni riguardo le relazioni familiari.
Nella fase adolescenziale si può condurre l’intervento anche solamente con il ragazzo senza i genitori (che però devono comunque esprimere il loro consenso all’intervento sul figlio) per consentire a quest’ultimo di esprimere liberamente il proprio punto di vista in merito ai fatti, bisogno particolarmente forte in questa fase evolutiva.
In particolare oggi quali sono oggi le principali emergenze socio-sanitarie nel campo della psicologia dell’età evolutiva?
Il bullismo è un fenomeno in aumento che, secondo i recenti dati pubblicati da Eurispes e Telefono Azzurro all’interno del 6° Rapporto Nazionale sulla Condizione dell’Infanzia e dell’Adolescenza, coinvolge un bambino su tre e tende a manifestarsi nelle fasce di età dai 7-8 ai 14-18 anni; questo fenomeno si configura sempre di più come l’espressione della scarsa tolleranza per la diversità, dell’assenza di accettazione di chi è dissimile per appartenenza etnica, per caratteristiche fisiche e psicologiche o semplicemente per scelte di vita.
Il bullismo nasce dal pregiudizio, dalla disinformazione e dalla scarsa tolleranza per tutto ciò che è “altro”, “diverso da sé”. A tal proposito, scuola e famiglia hanno il compito di promuovere una cultura che consideri la diversità come una ricchezza e che educhi all’accettazione e alla consapevolezza dell’altro.
Altra emergenza preoccupante è quella che deriva dal fenomeno del “bullismo elettronico” (dalla lingua inglese “cyber bullying”) caratterizzato da azioni moleste e diffamatorie messe in atto utilizzando la posta elettronica, i siti web, i blogs, SMS, MMS e telefoni cellulari. Come il bullismo, è volto a ferire e danneggiare un singolo o un gruppo, è intenzionale, può anche costituire un crimine informatico.
Anche i disturbi del comportamento alimentare sono in aumento, in particolare nelle donne tra i 12 e i 25 anni. Secondo l’ultimo rapporto dell’Eurispes sono circa due milioni i giovani italiani tra i 12 e i 25 anni, che hanno disturbi del comportamento alimentare: i principali sono anoressia nervosa, bulimia nervosa e binge eating disorder (disturbo da alimentazione incontrollata, BED), ed altri disturbi del comportamento alimentare non identificati.
Alla luce di questi dati, quale è il peso che famiglia e società rivestono nell’ambito del processo educativo?
Ritengo che oggi più che mai si avverta l’esigenza di attuare piani di intervento preventivo integrati che coinvolgano ragazzi, insegnanti, genitori ed esperti del settore finalizzati alla promozione di una cultura dell’informazione, dell’ascolto e del supporto.
Obiettivo primario di tali interventi dovrebbe essere quello di dar luogo ad un contesto relazionale ed educativo significativo dove gli adulti si attivino in quanto promotori di adeguate modalità di interazione e i più giovani abbiano la possibilità di essere supportati durante il processo evolutivo.
Sicuramente oggi gli adulti devono impegnarsi nel dare un senso, un significato, anche e soprattutto affettivo, al rapporto con i più giovani senza però dimenticare di definire il proprio ruolo di guida e di garanti delle regole.
L’adulto deve impostare con il più giovane una relazione educativa basata sul rispetto reciproco, sulla crescita e sullo scambio individuale. Una relazione più intensa da questo punto di vista avrebbe può assumere una forte valenza preventiva nei confronti del disagio giovanile.
Dottoressa Francesca Saccà