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Frutta e verdura: consigli per una scelta di qualità

Da dove arrivano frutta e verdura?

Grazie allo sviluppo delle reti commerciali, e alla ormai inarrestabile globalizzazione dei consumi, è ormai possibile trovare sulle nostre tavole prodotti di origine vegetale provenienti da ogni angolo del mondo.

Prendiamo per esempio la frutta esotica, che un tempo era consumata solo in momenti “particolari”, come le grandi festività o le ricorrenze importanti. Oggigiorno la situazione è completamente opposta, ed acquistare frutti di origine tropicale è ormai altrettanto facile quanto rifornirsi di prodotti “nostrani”. Banane dalla Costarica, manghi dal Senegal, litchees dal Madagascar sono disinvoltamente presenti sugli scaffali accanto a mele della Val Venosta, pere romagnole e meloni mantovani.

I Paesi più caldi, e quelli situati dall’altra parte dell’emisfero, sono i fornitori principali dei prodotti “fuori stagione”, ovvero quelli che, a causa del periodo climatico sfavorevole, non possono essere coltivati da noi tutto l’anno. Così, accade che importiamo anche enormi quantità di frutta che crescerebbe anche in Europa (ovviamente, nei periodi fisiologici caratteristici di ciascuna specie), ma che pretendiamo di consumare indiscriminatamente per tutto l’anno: pere dall’Argentina, arance dal Sudafrica e addirittura mele dalla Cina.

Lo stesso discorso si applica alla verdura: quante volte capita di leggere provenienze addirittura esotiche di prodotti coltivati anche da noi: fagiolini da Kenya e Senegal, pomodori dal Marocco, carciofi dall’Egitto.

Frutta e verdura in viaggio

Il prezzo spesso competitivo non ci fa andare tanto per il sottile quando si tratta di acquistare prodotti di provenienza estera. I bassi costi di produzione riescono a compensare le spese di trasporto, ed è addirittura possibile che, a parità di prodotto, i vegetali coltivati in Italia siano addirittura più costosi di quelli che hanno viaggiato per migliaia di chilometri, attraverso continenti ed oceani. Quante volte capita di vedere, ad esempio, arance sudafricane che costano la metà rispetto alle Tarocco siciliane, oppure uva del Sudamerica decisamente più economica di quella delle nostre vigne? Per non parlare del prezzo della frutta tropicale vera e propria, non troppo differente in termini di prezzi o addirittura meno costosa di quella prodotta da noi. Banane a 90 centesimi al chilogrammo, ananas a 1.50 euro, e così via.

È razionale pensare che scegliere l’alternativa meno costosa, soprattutto in questi tempi in cui bisogna stare attenti anche alle piccole spese, sia da preferire. Ma bisogna tenere anche in considerazione il discorso della qualità dei prodotti che andiamo ad acquistare.

Bisogna tener presente, innanzitutto, che all’estero e soprattutto al di fuori dell’Unione Europea la regolamentazione dell’agricoltura può essere molto differente rispetto alla nostra. Talvolta vengono usati diserbanti o insetticidi particolarmente nocivi, talvolta proibiti nei Paesi occidentali, e la possibilità che residui di queste sostanze tossiche rimangano sui prodotti che acquistiamo è da prendere in seria considerazione. Stesso discorso per le sostanze che servono a preservare la frutta durante il trasporto: ad esempio, i caschi di banane vengono raccolti ancora acerbi, trasferiti in celle frigorifere e trasportati via nave fino a destinazione. Per conservarli, vengono letteralmente irrorati di prodotti chimici come il tiabendazolo, fungicida e parassiticida che ad elevate dosi è estremamente tossico per l’uomo. Anche gli agrumi subiscono il trattamento con sostanze chimiche, e spesso vengono trattati in superficie con prodotti che rendono lucida la buccia, esattamente come accade con le cere utilizzate per migliorare l’aspetto di pere e mele. Sebbene la legge italiana preveda controlli severi sui residui chimici presenti su frutta e verdura, non sempre è possibile avere la certezza di non ingerire sostanze potenzialmente dannose per la salute.

Dal punto di vista organolettico, inoltre, i prodotti che hanno dovuto per settimane viaggiare in celle frigorifere sono di sicuro meno pregiati di quelli di provenienza locale. Ad esempio, le sostanze che conferiscono profumazione possono degradarsi molto velocemente, ed anche il contenuto di vitamina C tende a calare rapidamente dopo la raccolta.

Frutta e verdura? Sì: italiane, e di stagione!

Come orientare dunque al meglio le nostre scelte d’acquisto? Semplice, bisogna innanzitutto cambiar mentalità.

La spinta ai consumi ci ha portato a ritenere “normale”, se non indispensabile, consumare frutta di origine tropicale. Quante volte le banane sono state indicate come un toccasana per via del loro elevato contenuto di potassio, o altri frutti esotici sono stati pubblicizzati per questa o quella virtù salutistica? Nessuno mette in dubbio che consumare frutta fa bene, ma bisogna anche pensare che tutto quello di cui abbiamo bisogno ci può essere fornito anche dai soli prodotti locali. Esistono ad esempio, infatti, molte altre fonti di potassio alle quali “attingere” in caso di necessità, e lo stesso discorso vale qualsiasi altra paventata dote nutrizionale: non esiste il frutto “perfetto” che tenga lontani tutti i disturbi, o che faccia più bene di tutti gli altri: piuttosto bisogna avere consumi variati durante l’anno. Tanto più che, come visto prima, molte delle caratteristiche nutrizionali vengono irrimediabilmente compromesse da conservazione e trasporto.

Il consumo di frutta e verdura prodotte nel nostro Paese, oltre a sostenere l’economia agricola italiana, rappresenta anche una scelta valida dal punto di vista ambientale: meno un prodotto viaggia, meno si utilizzano combustibili di origine fossile per i trasporti, e meno anidride carbonica viene emessa.

È una banalità, ma spesso ce ne dimentichiamo: i prodotti freschi sono più nutrienti e saporiti di quelli provenienti da lontano. Per consumare “a chilometro zero”, o comunque fare una scelta consapevole dal punto di vista ambientale, prestiamo bene attenzione alla provenienza dei prodotti: l’obbligo in etichetta di specificare il Paese di provenienza è stata una conquista abbastanza recente, ma di grande importanza per i consumatori. Meglio ancora, acquistare direttamente dai produttori agricoli, nei cosiddetti “farmer markets” che stanno prendendo sempre più piede nelle nostre città.

Il secondo, grande ripensamento sui nostri stili di consumo è rappresentato dall’abitudine di pretendere di consumare gli stessi prodotti durante tutto l’anno. Dove sono finiti gli avvicendamenti stagionali e il rispetto dei ritmi della natura? Forse per noi è un’abitudine, ma i nostri nonni guardano con sospetto alle zucche acquistate in agosto, o alle mele di giugno, o ai pomodori d’inverno. E a ragione: tutti questi prodotti sono conservati in celle frigorifere, oppure cresciuti in serre mediante l’utilizzo di grandi quantità di energia, prodotti chimici, fertilizzanti. Pare quasi superfluo aggiungere che, se la natura si è evoluta secondo i suoi ritmi, anche l’uomo si è adattato a cibarsi in modo diverso durante l’avvicendarsi delle stagioni, e che i consumi costanti ed indifferenziati durante l’anno rappresentano una vera e propria distorsione della realtà.

Alla riscoperta dei prodotti di stagione

Ormai praticamente ovunque si possono trovare calendari che, mese per mese, segnalano i prodotti di stagione. Seguire le indicazioni fornite da questi semplici strumenti ci può indubbiamente consentire di scegliere quei prodotti cresciuti secondo i ritmi della natura. Ad esempio, nei mesi di luglio ed agosto possiamo acquistare frutta come albicocche, ciliegie, fichi, uva, meloni, cocomeri, pesche e susine, mentre la verdura di stagione è rappresentata da fagiolini, fagioli borlotti, fave, pomodori.

Un consiglio da seguire è inoltre quello di evitare le primizie: quando non sono di provenienza estera, questi prodotti possono essere ottenuti mediante forzature dei cicli vitali delle piante e – considerazione da non trascurare – sono venduti a prezzi astronomici. Spesso, inoltre, sono insapori ed inodori proprio per via di questa accelerazione forzata della crescita e della raccolta. Vale la pena, quindi, contenere per qualche tempo i nostri desideri di primizie, ed aspettare che questi prodotti siano effettivamente di stagione e commercializzati a prezzi accessibili.

E, se decidiamo di acquistare prodotti di stagione, sarà anche più semplice orientare le nostre preferenze verso frutta e verdura provenienti da agricoltura integrata o biologica. Una scelta valida dal punto di vista ambientale, ma che ha una giustificazione anche dal punto di vista della nostra salute: l’uso limitato o addirittura assente di prodotti chimici garantisce l’assenza di residui sul cibo stesso. Possiamo inoltre mangiare in tutta sicurezza frutta e verdura con la buccia, che contiene parecchie fibre, vitamine e sali minerali che altrimenti andrebbero scartate.

Verdure in busta e frutta in vaschette

Di innegabile praticità, il consumo di frutta e verdura lavate, tagliate e pronte all’uso ha vissuto negli ultimi anni un vero e proprio boom: secondo le ricerche, circa il 40% della popolazione italiana acquista abitualmente questi prodotti. Parallelamente alla loro diffusione si sono però moltiplicate anche le problematiche relative alla qualità dei prodotti in busta.

Prima di tutto bisogna ricordare che, una volta tagliati, i vegetali perdono rapidamente le vitamine, oltre a deteriorarsi ed afflosciarsi per via della perdita di acqua. Questi alimenti, come ad esempio l’insalata o le macedonie, dovrebbero essere infatti tagliati poco prima di essere consumati: è facile dunque immaginare che i prodotti commercializzati già tagliati siano molto meno nutrienti di quelli integri. L’INRAN (Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione) stima addirittura che il contenuto in antiossidanti si riduca del 50% nei prodotti tagliati ed imbustati.

Per quanto riguarda il caso specifico delle verdure in busta, il lavaggio viene effettuato da ciascuna azienda produttrice secondo criteri interni, ma non esiste al momento uno strumento normativo che definisca la carica microbica consentita sul prodotto finito. L’igiene di ciò che viene imbustato è, perciò, legato esclusivamente al disciplinare di produzione di ciascuna azienda. Quali sono i rischi potenziali dovuti ad una non corretta pulizia del prodotto? Infezioni, anche gravi, dovute a patogeni quali salmonella, Listeria ed Escherichia coli. Alcuni esperti sconsigliano l’utilizzo di questi prodotti da parte delle donne in gravidanza per via del rischio di contrarre la grave Toxoplasmosi.

Una volta lavate, asciugate e tagliate, le verdure vengono trattate con anidride solforosa (conosciuta anche con la sigla E220) allo scopo di mantenerle “fresche” in apparenza. Questo conservante è molto diffuso anche all’interno dei prodotti di consumo quotidiano, ma può in determinati casi comportare reazioni allergiche e fenomeni di intolleranza alimentare. La legislazione biologica, ad esempio, vieta l’uso dell’anidride solforosa per il trattamento e la conservazione dei prodotti. Un motivo in più per acquistare “bio”.

I prodotti pronti all’uso sono decisamente comodi, soprattutto per chi ha poco tempo per occuparsi della cucina. Ma il rovescio della medaglia è rappresentato dalle potenziali contaminazioni batteriche, nonché da un indiscutibile inferiorità in termini nutrizionali rispetto ai prodotti freschi. Inoltre, i prodotti in busta sono decisamente più costosi rispetto a quelli sfusi. Un esempio? Un’indagine di Altroconsumo ha evidenziato che il prezzo medio dell’insalata (scarola) sfusa, è di circa 1.50€ al chilogrammo mentre, quando questa è venduta imbustata, il suo costo schizza fino a quasi 10 euro al chilo. Considerando un consumo medio annuo pro capite di circa quattro chilogrammi di insalata, va da sé che per una famiglia di quattro persone il risparmio dovuto all’acquisto di insalata in cespi consente di risparmiare circa 125 euro all’anno!

I prodotti pronti sono costosi anche in termini ambientali: si stima che per produrre una busta di insalata da 125 grammi, il cui potere nutrizionale è di circa 30 Kcal, si debbano consumare prodotti di origine fossile per un potere energetico pari ad addirittura 350-800 Kcal! E le confezioni usa e getta di plastica non fanno altro che aggiungersi alle già ingenti quantità di rifiuti che produciamo ogni giorno.

Se proprio non vogliamo rinunciare a questa comodità, prestiamo comunque attenzione all’etichetta. Scegliere le confezioni la cui scadenza è più lontana (almeno tre o quattro giorni), in modo da scegliere il prodotto più “fresco”; prestare attenzione allo stato delle buste, che non devono apparire né rigonfie né appannate, né tantomeno devono presentare del liquido sul fondo della confezione. Meglio scegliere le confezioni dal fondo dello scaffale perché è qui che il freddo, agente in grado di contenere i batteri, è più intenso. Dopo l’acquisto, il prodotto va riposto immediatamente in frigorifero, e consumato in breve tempo una volta aperto (uno o due giorni al massimo); infine, anche se la comodità di questi prodotti è proprio il fatto che sono pronti all’uso, è consigliabile lavarli prima del consumo. In questo modo, si può diminuire la carica batterica residua presente, ma a questo punto vale la pena chiedersi se non era meglio comprare invece della “sana” verdura fresca!

Qualche consiglio (generale) per gli acquisti

Alla luce di quanto visto in precedenza, meglio dunque acquistare prodotti di stagione, di provenienza locale o italiana, preferibilmente interi e sfusi.

Quando facciamo la spesa, obbligatorio è l’utilizzo dei guanti monouso; prestiamo inoltre attenzione durante la scelta, che deve ricadere su frutta e verdura dall’aspetto fresco, senza odori di “vecchio”, e priva di ammaccature. Conservare i prodotti appena acquistati in frigorifero, ed in particolare nei ripiani più bassi che sono anche i più freddi. Frutta e verdura che avessero bisogno di terminare la propria maturazione possono, invece, essere conservate a temperatura ambiente.

Infine, prima del consumo, lavare accuratamente i prodotti sotto acqua corrente fredda. Se non provenienti da agricoltura biologica, eliminare le foglie esterne di insalata e carciofi, e pulire bene frutta e verdura destinata al consumo con la buccia.

Siti internet da consultare

Inran
http://www.inran.it/
Sito ufficiale dell’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione

Calendario delle stagionalità
http://www.paginainizio.com/service/fruttastagione.htm

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Milena TalentoMilena Talento15 Aprile 2024

8 Comments

  • Silva Cavallucci ha detto:

    Per quale Legge o Circolare è obbligatorio l’ utilizzo dei guanti monouso per l’ acquisto di frutta e verdura ? Credo sia una Circolare del 1986 del Ministero della Salute, ma su Internet non sono riuscita a rintracciarne il testo. E’ ancora in vigore ? Oppure vi è stata qualche pronuncia successiva di modifica / soppressione dell’ obbligo? Premetto che condivido l’ utilizzo dei guanti, ma questa regola generalmente non viene rispettata, forse perchè non sentita, per disinformazione, come un “obbligo” ma come una scelta volontaria, e i Gestori dei Supermercati non vogliono prendere posizioni scomode. Ringrazio. Silva Cavallucci

  • sara recanatini ha detto:

    Buongiorno, in merito all’obbligo nell’uso di guanti presso i supermercati vorrei conoscere la normativa alla quale tale obbligo fa riferimento.
    grazie per la gentile attenzione,
    sara recanatini

  • Irene ha detto:

    SECONDO VOI E’ OPPORTUNO MANGIARE FRUTTA E VERDURA LOCALE QUANDO INTORNO A TE C’è LO SVERSAMENTO DI RIFIUTI TOSSICI PIù IMPORTANTE DI TUTTA LA STORIA (NORD CAMPANIA) ??????
    DITECI PIUTTOSTO COME FARE A NON COMPRARE QUELLA ROBA IN MODO SERIO, DATEMI UNA MARCA DI PESCHE CHE NON VENGONO DA LA ETC….
    GRAZIE!!!

  • Gianluigi d'Altilia ha detto:

    mi associo ai commenti sulla obbligatorietà per Legge dell’uso di guanti al supermercato nella scelta di frutta e verdura / ortaggi. Una assenza di leggi per un tale obbligo sarebbe “sorprendente” se si pensa agli obblighi (giusto!) di igiene per i produttori, i trasportatori ed i distributori sino alla vendita finale (appunto i supermercati ad esempio). Ringrazio della cortese attenzione e prego di comunicare la legislazione in materia di obbligo d’uso dei guanti. Gianluigi d’Altilia

  • Gianmaria Italia ha detto:

    Una piccola osservazione: distinguere tra provenienza e origine di un prodotto, perchè è quest’ultima che ci occorre sapere; la provenienza è solo un punto di partenza dell’ultimo viaggio verso l’Italia. Ricordo che, quando scoppiò il morbo della mucca pazza in Gran Bretagna si leggeva spesso “provenienza Francia”, ma poteva essere solo la sede del terminal dove era stata ricaricata dopo lo sbarco da Dover.
    Mi associo alla richiesta della Signora Sara Recanatini: a quale legge fa riferimento l’obbligo di utilizzare i guanti monouso? Dovrebbe essere recepita dall’UE perchè vado sovente in Lussemburgo dove ho visto un solo grande supermercato metterli a disposizione e, comunque, il suo direttore mi ha detto che non può obbligare i clienti ad utilizzarli. Se ci fosse una normativa, come quella della misura minima delle cozze, dovrebbero allinearsi tutti a questa norma igienica, peraltro del tutto ovvia.

  • Maria lucia ha detto:

    marialuciapaci1996@icloud.com
    Certi commenti assurdi

  • mancinelli umberta ha detto:

    nei supermercati la frutta ha l’aspetto di frutta ma il profumo e il sapore e’ quasi sempre inesistente. se si abita in zone dove non c’e’ una produzione locale si e’ costretti a mangiare prodotti sempre scadenti che ti schifano. ho 70 anni e vivo nel ricordo del sapore e del profumo della frutta che sapeva di frutta . non ci sono alternative ? forse peggiorera’ ancora!!!! perché ?

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